Dalla prefazione:
Nel 1948 George Orwell cominciò ad abbozzare un romanzo che, ispirato alla vicenda storica più recente, cominciava a porre in modo drammatico il problema della manipolazione ideologica dell’essere umano da parte dei mass media e dei poteri, più o meno occulti, che ne determinavano la natura profondamente, ed essenzialmente, antiumanistica. Nel 1950 fu dato alle stampe 1984, un romanzo che appare molto più di una profezia. Si tratta di una straordinaria opera di anticipazione che parla di un regime – quello del Grande Fratello – che in effetti è la realtà nella quale noi siamo quotidianamente immersi – una poltiglia grassa e molliccia di informazioni che negli intellettuali più sensibili, gli “happy few” di Stendhal, non può che suscitare nausea. Ma che, per un intreccio perverso fra ignoranza e volgarità, diviene l’alimento preferito dai più. La realtà di cui si parla è, in ultima analisi, l’irrealtà in cui viviamo – in cui conta più imitare la “poltiglia” mediatica che nutrire il proprio essere e la propria immaginazione con “alimenti” in grado di sviluppare senso critico e un rapporto con il mondo culturalmente vivo e creativo.
L’aspetto positivo del dramma proposto da Angelo Del Vecchio sta proprio nella denuncia di un imbarbarimento del soggetto al cospetto di un mondo che non conosce altro linguaggio che quello della propria stupita replica di sé. Il linguaggio virtuale in cui sono immersi i protagonisti di Iotu non lascia scampo alla mente umana, tutto quello che accade mira a un unico risultato: la negazione di qualsiasi forma di autonomia di pensiero, l’ossificazione della mente e la fine del pensiero dialogico. Nel suo tentativo di costruire un discorso intorno alla realtà virtuale, non si può non apprezzare lo sforzo di Del Vecchio in direzione di una messinscena non tanto del mondo che verrà, ma di quello che è già intorno a noi. Del Vecchio riesce a drammatizzare, con pochi tocchi, lo stato di apatia, letargia e indolenza, tipico di chi non vede vie di uscita da una routine disumana e alienante.
L’immagine descritta sin dalla prima indicazione scenografica è fin troppo evidente: gli spazi dei due monolocali sono configurati in base ai dettami pubblicitari, arredati in risposta ai falsi bisogni imposti dal consumo di massa. Al centro della scena troneggiano due maestosi televisori sempre accesi che generosamente dispensano esperienze vicarie e sensazioni già sentite, dispensando il ricevente dalla partecipazione attiva alla vita, sottraendolo all’enorme dispendio di energie consumate nel sentire, liberandolo dalla responsabilità di pensare.
Come Sisifo, condannato a far rotolare senza posa un macigno sino alla cima di una montagna per poi vederlo ricadere giù per azione del suo stesso peso, Angelo ed Ema sono condannati a ripetere gli stessi gesti e le stesse azioni all’infinito, in una pantomima priva di senso. Trascinati inermi nel flusso impetuoso del progresso tecnologico, i protagonisti perdono il controllo della loro vita, subiscono passivamente la progressiva erosione dei rapporti interpersonali e lasciano che sia la macchina pensante − uno strumento meccanico capriccioso e inaffidabile, come ammonisce E. M. Forster nel racconto distopico “The Machine Stops” (1909) − a mediare ogni forma di contatto e di aggregazione sociale. Ancor più grave è la loro rinuncia al pensiero critico che si traduce nell’esigenza di delegare ad altri, perlopiù maghi, predicatori e imbonitori televisivi, ogni scelta e ogni responsabilità. I personaggi descritti da Del Vecchio sono figure inerti, intrappolate negli schemi ripetitivi di comportamenti ritualizzati che se per certi aspetti rassicurano l’individuo, per altri ne indeboliscono le facoltà di giudizio.
Scalzata la ragione, l’assurdo si traduce nell’incapacità di conferire unità e senso alla realtà, in un disagio che deve indurre l’individuo a ripensare il suo ruolo nel mondo, a individuare nuovi valori da opporre ai disvalori della cultura di massa, ad aprirsi ad un sentire più autentico e non mediato che gli consenta di tornare ad essere l’unico e vero protagonista della propria vita.
Fracesco Marroni
(Docente Universitario)
Angelo Del Vecchio, nato in Abruzzo il 9/12/1985, vive e lavora a Roma, dove è assistente di Giuditta Cambieri al Corso di Recitazione e Studio del Movimento presso l’Act Multimedia di Cinecittà, la scuola di cinema che ha frequentato dal 2006 al 2008, anno in cui ha conseguito il diploma. Da studente ha avuto come docenti, tra gli altri, Marco Vallarino, Francesco Rosi, Carlo Lizzani, Giuditta Cambieri e Alessandro Gassman. Ha recitato, in qualità di attore coprotagonista, nel cortometraggio L’Ultima Spiaggia di Pierpaolo Rella. Lo stesso regista lo ha scelto, poi, come protagonista in La fama e l’onore, un cortometraggio che ha partecipato al Film Festival di Torino nel 2009. Ha preso parte, sempre in qualità di attore, a uno spot pubblicitario destinato alle televisioni tedesche.
Giovanissimo ha frequentato i corsi di recitazione presso il teatro d’innovazione L’Uovo dell’Aquila e ha partecipato attivamente alla Compagnia di Teatro dialettale di Pescara, della regista M. A. Feruglio, con la quale ha avuto l’opportunità di esibirsi in pubblico al Teatro Marrucino di Chieti.
Ha letto poesie e brani di narrativa durante alcune presentazioni pubbliche di libri.
Nel 2009, in occasione della presentazione alla Libreria Croce di Roma, del libro della scrittrice e giornalista RAI, Mirella Lentini, “Il confine invisibile” ha interpretato alcuni dei racconti presenti nel testo.
La Fondazione Pescarabruzzo, in collaborazione con le Edizioni Tracce di Pescara, intende incoraggiare e valorizzare la scrittura e la letteratura giovanile, e favorire la promozione culturale della letteratura italiana. A tale scopo ha stabilito di pubblicare ogni anno un volume di narrativa e un volume di poesia scritti da giovani nati, residenti o domiciliati in Italia. Questo testo è stato il vincitore del primo premio per la narrativa nell'edizione del 2010.
Nel 1948 George Orwell cominciò ad abbozzare un romanzo che, ispirato alla vicenda storica più recente, cominciava a porre in modo drammatico il problema della manipolazione ideologica dell’essere umano da parte dei mass media e dei poteri, più o meno occulti, che ne determinavano la natura profondamente, ed essenzialmente, antiumanistica. Nel 1950 fu dato alle stampe 1984, un romanzo che appare molto più di una profezia. Si tratta di una straordinaria opera di anticipazione che parla di un regime – quello del Grande Fratello – che in effetti è la realtà nella quale noi siamo quotidianamente immersi – una poltiglia grassa e molliccia di informazioni che negli intellettuali più sensibili, gli “happy few” di Stendhal, non può che suscitare nausea. Ma che, per un intreccio perverso fra ignoranza e volgarità, diviene l’alimento preferito dai più. La realtà di cui si parla è, in ultima analisi, l’irrealtà in cui viviamo – in cui conta più imitare la “poltiglia” mediatica che nutrire il proprio essere e la propria immaginazione con “alimenti” in grado di sviluppare senso critico e un rapporto con il mondo culturalmente vivo e creativo.
L’aspetto positivo del dramma proposto da Angelo Del Vecchio sta proprio nella denuncia di un imbarbarimento del soggetto al cospetto di un mondo che non conosce altro linguaggio che quello della propria stupita replica di sé. Il linguaggio virtuale in cui sono immersi i protagonisti di Iotu non lascia scampo alla mente umana, tutto quello che accade mira a un unico risultato: la negazione di qualsiasi forma di autonomia di pensiero, l’ossificazione della mente e la fine del pensiero dialogico. Nel suo tentativo di costruire un discorso intorno alla realtà virtuale, non si può non apprezzare lo sforzo di Del Vecchio in direzione di una messinscena non tanto del mondo che verrà, ma di quello che è già intorno a noi. Del Vecchio riesce a drammatizzare, con pochi tocchi, lo stato di apatia, letargia e indolenza, tipico di chi non vede vie di uscita da una routine disumana e alienante.
L’immagine descritta sin dalla prima indicazione scenografica è fin troppo evidente: gli spazi dei due monolocali sono configurati in base ai dettami pubblicitari, arredati in risposta ai falsi bisogni imposti dal consumo di massa. Al centro della scena troneggiano due maestosi televisori sempre accesi che generosamente dispensano esperienze vicarie e sensazioni già sentite, dispensando il ricevente dalla partecipazione attiva alla vita, sottraendolo all’enorme dispendio di energie consumate nel sentire, liberandolo dalla responsabilità di pensare.
Come Sisifo, condannato a far rotolare senza posa un macigno sino alla cima di una montagna per poi vederlo ricadere giù per azione del suo stesso peso, Angelo ed Ema sono condannati a ripetere gli stessi gesti e le stesse azioni all’infinito, in una pantomima priva di senso. Trascinati inermi nel flusso impetuoso del progresso tecnologico, i protagonisti perdono il controllo della loro vita, subiscono passivamente la progressiva erosione dei rapporti interpersonali e lasciano che sia la macchina pensante − uno strumento meccanico capriccioso e inaffidabile, come ammonisce E. M. Forster nel racconto distopico “The Machine Stops” (1909) − a mediare ogni forma di contatto e di aggregazione sociale. Ancor più grave è la loro rinuncia al pensiero critico che si traduce nell’esigenza di delegare ad altri, perlopiù maghi, predicatori e imbonitori televisivi, ogni scelta e ogni responsabilità. I personaggi descritti da Del Vecchio sono figure inerti, intrappolate negli schemi ripetitivi di comportamenti ritualizzati che se per certi aspetti rassicurano l’individuo, per altri ne indeboliscono le facoltà di giudizio.
Scalzata la ragione, l’assurdo si traduce nell’incapacità di conferire unità e senso alla realtà, in un disagio che deve indurre l’individuo a ripensare il suo ruolo nel mondo, a individuare nuovi valori da opporre ai disvalori della cultura di massa, ad aprirsi ad un sentire più autentico e non mediato che gli consenta di tornare ad essere l’unico e vero protagonista della propria vita.
Fracesco Marroni
(Docente Universitario)
Angelo Del Vecchio, nato in Abruzzo il 9/12/1985, vive e lavora a Roma, dove è assistente di Giuditta Cambieri al Corso di Recitazione e Studio del Movimento presso l’Act Multimedia di Cinecittà, la scuola di cinema che ha frequentato dal 2006 al 2008, anno in cui ha conseguito il diploma. Da studente ha avuto come docenti, tra gli altri, Marco Vallarino, Francesco Rosi, Carlo Lizzani, Giuditta Cambieri e Alessandro Gassman. Ha recitato, in qualità di attore coprotagonista, nel cortometraggio L’Ultima Spiaggia di Pierpaolo Rella. Lo stesso regista lo ha scelto, poi, come protagonista in La fama e l’onore, un cortometraggio che ha partecipato al Film Festival di Torino nel 2009. Ha preso parte, sempre in qualità di attore, a uno spot pubblicitario destinato alle televisioni tedesche.
Giovanissimo ha frequentato i corsi di recitazione presso il teatro d’innovazione L’Uovo dell’Aquila e ha partecipato attivamente alla Compagnia di Teatro dialettale di Pescara, della regista M. A. Feruglio, con la quale ha avuto l’opportunità di esibirsi in pubblico al Teatro Marrucino di Chieti.
Ha letto poesie e brani di narrativa durante alcune presentazioni pubbliche di libri.
Nel 2009, in occasione della presentazione alla Libreria Croce di Roma, del libro della scrittrice e giornalista RAI, Mirella Lentini, “Il confine invisibile” ha interpretato alcuni dei racconti presenti nel testo.
La Fondazione Pescarabruzzo, in collaborazione con le Edizioni Tracce di Pescara, intende incoraggiare e valorizzare la scrittura e la letteratura giovanile, e favorire la promozione culturale della letteratura italiana. A tale scopo ha stabilito di pubblicare ogni anno un volume di narrativa e un volume di poesia scritti da giovani nati, residenti o domiciliati in Italia. Questo testo è stato il vincitore del primo premio per la narrativa nell'edizione del 2010.
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